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Separazione Consensuale

 

Cosa s’intende per “separazione consensuale” ?

Con la “separazione consensuale” i coniugi – assistiti dal legale – giungono ad un “accordo consensuale” rispetto agli aspetti fondamentali della separazione quali l’affidamento dei figli, l’assegnazione della casa coniugale, l’assegno di mantenimento e le altre questioni patrimoniali, quindi ne chiedono l’omologazione davanti all’Autorità Giudiziaria.
La separazione consensuale è sicuramente la via preferibile per risolvere le crisi coniugali.
Lo testimoniano anche i numeri; basti pensare che la scelta consensuale prevale in quasi il 70% degli addii e ha enormi vantaggi rispetto alla “separazione giudiziale” (o “litigiosa”) e precisamente:
1. ha costi assai ridotti;
2. si risolve in tempi brevi;
3. è meno traumatizzante per i coniugi e i figli, specie se minori.

Separazione Consensuale in Negoziazione Assistita

La “negoziazione assistita”, introdotta dal decreto legge n. 132/2014 permette oggi di separarsi (e/o divorziare) consensualmente (e/o modificare le condizioni di separazione e/o divorzio) senza dover passare dal Tribunale, ma semplicemente stipulando un accordo redatto e sottoscritto da 2 avvocati (è obbligatiorio 1 avvvocato per parte), i quali ne certificano la conformità alle norme inderogabili di legge e successivamente, ottenuto il “nulla osta” dalla Procura competente, trasmettono l’accordo direttamente all’Ufficiale di Stato civile per le trascrizioni di legge.

La procedura può trovare applicazione in tutti i casi di separazione e/o divorzio, anche qualora vi siano figli minorenni, ovvero maggiorenni gravemente handicappati o economicamente non autosufficienti.

Divorziare o separarsi nello studio di un professionista senza passare per il Tribunale è, pertanto, possibile ed ha come vantaggi l’abbattimento di tempi e costi dell,a proceduta.
Ove sia decisione comune dei coniugi procedere alla separazione e non vi siano aspetti di conflitto tra gli stessi è consigliabile, pertanto, ricorrere a tale possibilità.
In questo modo i costi risultano ridotti i tempi (un paio di mesi) e i costi. Gli avvocati, assisteranno i coniugi nella regolamentazione condivisa da entrambi degli aspetti patrimoniali e non patrimoniali inerenti la separazione.

Lo Studio Legale Albini & Partners mette a disposizione un servizio rapido e efficiente di “Consulenza online” tramite il form Richiedi Consulenza grazie al quale ricevere informazioni precise in materia e con riguardo alla Tua specifica realtà.

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Separazione Giudiziale

Cosa s’intende per “separazione giudiziale” ?

La “separazione giudiziale” è quella propriamente “litigiosa”, ovvero una vera e propria causa che comporta- rispetto alla consesuale – tempi più lunghi e costi maggiori, oltre che l’aggravarsi  inevitabile dei contrasti tra i coniugi, nonché possibili conseguenze (ulteriormente) traumatiche per i figli.

E’ in linea generale, quindi, consigliabile intraprendere tale strada solo dopo aver tentato senza successo la via della “separazione consensuale”.

Va però detto che la “separazione giudiziale” ha alcune peculiarità che la contraddistingono da quella consensuale.
La prima.
In tale processo è possibile chiedere l’”ADDEBITO della separazione” per colpa.
Che cos’è l’a”ddebito della separazione per colpa” ?
Semplicemnete, il giudice della separazione dichiara, ove sussistano i presupposti e ne sia stata fatta domanda, a quale dei coniugi è da addebitare la colpa della rottura del legame coniugale e, dunque, della separazione, in conseguenza della sua condotta in violazione dei doveri conigali sanciti dall’art. 143 del codice civile.
La pronuncia richiede quindi come presupposto la violazione di uno dei doveri coniugali (dovere alla reciproca fedeltà, alla coabitazione, all’assistenza morale e materiale e alla collaborazione nell’interesse della famiglia).
La violazione di uno di questo obblighi non è di per sé sola sufficiente alla pronuncia di addebito, essendo necessario valutare se tale condotta in violazione dei doveri coniugali è stata la causa determinante l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza.
Se la crisi del matrimonio e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza era preesistente non potrà esserevi pronuncia di addebito della separazione.

Quali sono le conseguenze legali dell’”addebito della separazione” ?
Il coniuge ritenuto responsabile della separazione, perde:
1. il diritto al mantenimento che spetta al coniuge che non possieda i redditi necessari a conservare un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio (conserva solo il diritto agli alimenti ove ne ricorrano i presupposti, ovvero se non ha altri mezzi per provvedere a se stesso);
2. il diritto all’eredità (tuttavia, se percepiva gli alimenti a carico del marito deceduto conserva il diritto ad un vitalizio in uguale misura da porsi a carico dell’eredità);

Quanto alla “pensione di reversibilità”, l’orientamento giurisprudenziale più risalente che negava la “pensione di reversibilità” all’ex coniuge a cui era stata addebitata la separazione è stato oggi superato, pertanto anche il coniuge separato per colpa ha diritto alla pensione di reversibilità.
Inoltre, la reversibilità spetta a prescindere dalla spettanza dell’assegno di mantenimento.

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AFFIDAMENTO DEI FIGLI
Collocazione prevalente del minore

Assegno di mantenimento dei figli.

[“ Quando l’Avvocato stipula il contratto di patrocinio con un genitore, per assisterlo in un procedimento minorile in cui sono coinvolti i figli, di fatto perviene alla conclusione di un contratto «ad effetti protettivi verso terzi» ove terzi sono i figli”.
Tribunale Civile di Milano, 23.03.2016, Giudice Giuseppe Buffone ]

 

Con la legge 54/2006 sull””affido condiviso” si è voluto dare attuazione al “principio della bigenitorialità”, inteso come diritto dei figli di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi, ovvero di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

A parte il principio di diritto contenuto nella legge, “affido condiviso” non significa una ripartizione paritaria dei tempi di permanenza dei figli con i genitori; la regola generale continua a essere il “collocamento prevalente” dei figli presso uno dei due genitori (ciò al fine di garantire la stabilità emotiva e di vita della prole) e dunque il “mantenimento indiretto” da parte del genitore non “collocatario” attraverso la corresponsione di un assegno periodico, pur dovendosi sempre prevedere e tutelare ampie possibilità di incontro e di frequentazione con l’altro genitore.

Nel decidere sulla collocazione prevalente del minore, il Giudice dovrà individuare il genitore che risulti maggiormente idoneo ad assicurare il miglior sviluppo della sua personalità, considerando tra l’altro le consuetudini di vita già acquisite dal figlio (Cass. 1369/10).
La regola generale dell’affidamento dei figli ad entrambi i coniugi è derogabile solo quando il giudice ritenga che la sua applicazione sia, in concreto, pregiudizievole dell’interesse dei minori (Cass. 12308/10); mentre i genitori, nemmeno di comune accordo, possono decidere di affidare i figli in via esclusiva a uno solo di essi, senza fornire una valida ragione della scelta (Trib. Catania, 15.10.2010).

In concreto, l’obbligo di mantenimento dei figli in capo al genitore non collocatario va quantificato tenendo conto di 5 parametri indicati dall’art. 155 Cod. civ.:
1. le attuali esigenze del figlio;
2. il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi
i genitori (il criterio del “tenore di vita goduto durante il matrimonio” continua a vigere per l'”assegno di mantenimento dei figli” anche dopo la nota sentenza della Cassazione civile n. 11504/2017 sull’”assegno di divorzio”)
3. i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
4. le risorse economiche di entrambi i genitori;
5. la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun
genitore.
Va detto come per valutare le risorse economiche di ciascun genitore ai fini di determinare la misura dell’obbligo di mantenimento del genitore non collocatario, il reddito dichiarato non è l’unico elemento da considerare.
Bisognerà, infatti, anche valutare il reddito “potenziale”, ovvero quei redditi che il genitore, anche se disoccupato, ha la capacità di conseguire (Cass. 16551/2010). Così il genitore disoccupato, ma dotato di capacità di lavoro non può sottrarsi all’obbligo di mantenimento dei figli, ma deve attivarsi e fare il possibile per garantire il soddisfacimento delle essenziali esigenze dei figli.
Il diritto del figlio a essere mantenuto dai genitori non cessa con il compimento del diciottesimo anno di età e non prevede un termine finale che va’ individuato, caso per caso, con il raggiungimento della possibilità di autosufficienza economica ed il genitore “collocatario” ha, pertanto, diritto a percepire dall’altro coniuge un assegno per il suo mantenimento purchè sia con questi effettivamente convivente.

Va detto poi come il genitore convivente con i figli possa chiedere all’altro, oltre il pagamento di un contributo di mantenimento per il futuro, anche il rimborso pro quota delle spese, ordinarie e straordinarie, già interamente sostenute a favore dei figli sin dalla nascita (si pensi l caso dei genitori non uniti in matrimonio e che non hanno mai convissuto) ovvero dalla cessazione della convivenza coniugale o “di fatto” (in assenza di matrimonio). Tale domanda va proposta al Tribunale ordinario, non solo in caso di figli legittimi, ma anche per i figli naturali.

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Assegnazione della Casa Familiare

In caso di sperazione a chi viene assegnata la casa coniugale ?

Uno degli aspetti più delicati, spesso oggetto di aspre dispute nella fase di seprazione dei coniugi è senza dubbio quello dell’assegnazione della casa familiare, per la quale sovente sono stati fatti grossi investimenti da parte dei coniugi e che ha ance un grande valore simbolico – affettivo per il carico di ricordi che racchiude.

Separarsi comporta un cambiamento al quale non sempre si è pronti ed in questa (già di per sé difficile) uscita “forzata” dalla c.d. zona di comfort

la casa familiare può arrivare a rappresentare, unitamente ad un assegno di mantenimento, un importante punto di riferimento, se non l’unico.

Un buon percorso di separazione consensuale, realizzato con la volontà di entrambi i coniugi, può portare a soluzioni condivise, anche in merito all’assegnazione della casa familiare quando, all’opposto, un provvedimento di assegnazione disposto dal Tribunale (e non condiviso dalla coppia in via di separazione) può, al contrario, essere vissuto come imposizione e, per questo, non accettato, con conseguenze evidenti sul piano della conflittualità.

Va detto che il principio generale è quello per cui il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli, ciò significa che l’assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi presuppone l’esistenza di figli minori e/o non autosufficienti mentre prescinde dalla titolarità della proprietà (la casa, infatti, può anche essere di proprietà dell’altro coniuge).

Il principio è quello per cui la casa viene assegnata al genitore presso cui i figli minori andranno a vivere stabilmente, anche se non proprietario della casa, in quanto si mira a tutelare l’interesse dei figli a non subire ulteriori cambiamenti preservando l’ambiente domestico della prole e conservando un minimo di continuità e regolarità di vita.

Cambia qualcosa in caso di convivenza di fatto ?

Assolutamente no. Il diritto del convivente al godimento della casa

adibita a residenza familiare, in caso di cessazione dell’unione di fatto,

in presenza di figli minori, è un principio acquisito pacificamente nel

nostro ordinamento, oggetto di una importante pronuncia (Corte

Costituzionale sentenza 13.05.1998, n. 166).

La casa non viene assegnata e resta nella proprietà del legittimo titolare se la coppia non ha figli.

Se la coppia era in comunione dei beni, l’immobile andrà diviso o venduto, mentre rimarrà di proprietà del titolare dell’immobile nel caso di separazione dei beni.

Il coniuge al quale è stata assegnata la casa familiare la perde se i figli diventano autosufficienti, se vanno a vivere altrove o se lo stesso coniuge abbandona l’immobile per trasferirsi.

Va detto poi come, nel caso in cui il coniuge proprietario debba versare un assegno di mantenimento al coniuge che ha avuto in assegnazione la casa, il giudice dovrà tenere in debita considerazione il valore dell’assegnazione della casa; questo per l’ovvio motivo per cui il coniuge proprietario non assegnatario dovrà reperire una nuova abitazione con le conseuenti spese necessarie, mentre il coniuge assegnatario avrà il vantaggio economico di godere dell’abitazione famigliare senza sostenere alcun canone di locazione per tale godimento.

Analogamente nel caso di mutuo sull’immobile, il cui pagamento spetta al proprietario dell’immobile, il giudice dovrà tenere conto di tale spesa ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento.

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