Dimissioni per “giusta causa” del lavoratore

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Dimissioni per “giusta causa” del lavoratore

Il lavoratore ha il diritto di recedere dal proprio contratto di lavoro, ovvero di rassegnare le proprie dimissioni, quando vi sia una situazione che rende insostenibile la prosecuzione del rapporto lavorativo. Le dimissioni per “giusta causa” hanno delle conseguenze peculiari e favorevoli al lavoratore e vanno rassegnate secondo modalità ben definite.

    Dimissioni per “giusta causa” del lavoratore

    Il lavoratore ha il diritto di recedere dal proprio contratto di lavoro, ovvero di rassegnare le proprie dimissioni, quando vi sia una situazione che rende insostenibile la prosecuzione del rapporto lavorativo. Le dimissioni per “giusta causa” hanno delle conseguenze peculiari e favorevoli al lavoratore e vanno rassegnate secondo modalità ben definite.

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      Le dimissioni per “giusta causa”

      Molto spesso si dice impropriamente che il lavoratore “si licenzia”. In realtà, tale dicitura è scorretta in quanto il “licenziamento” è l’interruzione del rapporto di lavoro per iniziativa del datore di lavoro, mentre quando l’interruzione avviene su iniziativa del lavoratore si parla di “dimissioni“.
      Le dimissioni per “giusta causa” si hanno quando il lavoratore mette fine al rapporto di lavoro per un fatto addebitabile al datore di lavoro, idoneo ad integrare la condizione di improseguibilità del rapporto di lavoro. Dunque, si tratta di una perdita dal lavoro solo apparentemente volontaria perché, in realtà, è stata indotta da una grave violazione dei doveri in capo al datore di lavoro.

       

       

      La giusta causa

       

      Le ipotesi in cui, per giurisprudenza consolidata, vi sia una “giusta causa” di dimissioni sono:

       

      1. Le molestie sessuali da parte del datore di lavoro oppure offese, ingiurie e comportamenti denigratori;
      2. Il mancato o ritardo pagamento dello stipendio (il ritardo deve essere apprezzabile, ovvero tale da recare

      disagio e mettere in difficoltà economica il dipendente e non essere una prassi tollerata in precedenza dal lavoratore);

      1. L’omesso versamento dei contributi previdenziali;
      2. Il mobbing;
      3. Il demansionamento;
      4. La pretesa di esecuzione di prestazioni illecite da parte del lavoratore.

       

       

      Come si rassegnano le dimissioni per giusta causa

       

      Con l’entrata in vigore del c.d. Jobs Act, il lavoratore deve seguire un’apposita procedura telematica a disposizione sul sito dell’Inps.
      A differenza del licenziamento, le dimissioni possono anche essere non motivate, tuttavia per potere beneficiare delle conseguenze favorevoli previste in caso di recesso per “giusta causa”, è necessario che il lavoratore invochi la “giusta causa” di dimissioni contestualmente alla comunicazione di recesso.
      Non è necessario dare il c.d. preavviso (previsto dai CCNL per il caso di recesso dal rapporto di lavoro non assistito da “giusta causa”), ovvero, chi si dimette per “giusta causa” può cessare di lavorare immediatamente dopo la comunicazione di recesso senza vedersi addebitata l’indennità sostitutiva di preavviso.

       

       

      Le conseguenze (favorevoli) per il lavoratore in caso di dimissioni per “giusta causa”

       

      In caso di dimissioni dal lavoro per “giusta causa”, il lavoratore ha diritto a:

       

      1. La percezione dell’indennità sostitutiva di preavviso prevista dal CCNL;
      2. La percezione della Naspi, cioè, dell’indennità di disoccupazione Inps, in quanto trattasi di
        perdita di lavoro per ragioni indipendenti dalla propria volontà;
      3. L’eventuale risarcimento del danno che la perdita del lavoro involontaria gli ha cagionato;
      4. L’eventuale percezione del “reddito di cittadinanza” (ove sussistano, insieme alla disoccupazione

      involontaria, i requisiti reddittuali previsti dalla normativa).

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