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Impugnare Licenziamento per giustificato motivo oggettivo

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Impugnare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è possibile, vediamo quando, come e perchè.

 

  1. Cos’è il Licenziamento per “giustificato motivo oggettivo”.
  2. In quali casi è illegittimo e può essere impugnato.
  3. Conseguenze reintegratorie e risarcitorie della sua illegittimità.
  4. Conclusioni.

 

 

1. Cos’è il Licenziamento per “giustificato motivo oggettivo”

 

Il licenziamento per “giustificato motivo oggettivo” (anche detto per “ragioni economiche”) è il licenziamento determinato da una riorganizzazione aziendale indotta da ragioni relative all’attività produttiva (quali l’esigenza di far fronte a una crisi aziendale riducendo i costi di produzione).

 

In altre parole, tale tipologia di licenziamento ha la sua motivazione e ragion d’essere nell’esigenza del datore di lavoro di superare una crisi o anche solo di aumentare gli utili.

 

In una situazione economica di profonda crisi come quella post pandemia – nella quale la maggior parte dei settori produttivi è in difficoltà ed ha in atto  processi di riorganizzazione interna per far fronte alle congiunture economiche sfavorevoli e/o all’evoluzione tecnologica –  il licenziamento per “giustificato motivo oggettivo” è ipotesi tutt’altro che remota, bensì strumento all’ordine del giorno per la sopravvivenza o competitività delle aziende.

 

Si può così avere licenziamento per “giustificato motivo oggettivo” nel caso di riorganizzazione aziendale con:

 

  • riduzione del personale (per abbassare costi),
  • soppressione di una mansione (per contrarre la produzione),
  • esternalizzazione e/o accorpamento di mansione (per abbassare costi),
  • rinnovo tecnologico (con sostituzione con robot), ecc.. ecc…

 

Il licenziamento per “giustificato motivo oggettivo” deve essere intimato con il rispetto del termine di preavviso (salva dispensa dallo stesso con corresponsione dell’indennità sostitutiva) e deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato.

 

Solo per i rapporti di lavori instaurati ante Jobs Act (e solo per le imprese avente i requisiti dimensionali di cui all’articolo 18, ottavo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300) permane l’obbligo procedurale della preventiva comunicazione per iscritto dell’intenzione di licenziare effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, trasmessa per conoscenza al lavoratore ai fini del tentativo di conciliazione avanti alla DTL.

 

Per i rapporti di lavori instaurati dopo il Jobs Act non è più prevista tale procedura.

 

 

2. In quali casi è illegittimo e può essere impugnato

 

Abbiamo detto che licenziamento per “giustificato motivo oggettivo” è quello dettato esclusivamente da ragioni relative all’organizzazione dell’attività produttiva del datore di lavoro.

 

Ma ora, ponendoci nella prospettiva del lavoratore che lo subisce,  vogliamo capire quando è possibile impugnare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

 

Va subito detto che le scelte economico-organizzative dell’imprenditore non sono di per sé sindacabili, sono discrezionali e non possono subire illegittime interferenze per il principio costituzionale della “libertà dell’attività d’impresa” sancito dagli articoli 16 e 41 della Costituzione.

 

Questo in linea generale comporta scarse possibilità d’impugnare un licenziamento per “giustificato motivo oggettivo” ma giammai si può tradurre in una libertà assoluta, incontrollata e incondizionata di licenziamento.

 

Vediamo allora quando un licenziamento per “giustificato motivo oggettivo” è illegittimo e, pertanto può essere annullato a seguito d’impugnazione (da effettuarsi nel termine perentorio di 60 giorni).

 

  1. Il primo imprescindibile presupposto per la legittimità del licenziamento per “giustificato motivo oggettivo” è l’esistenza di una reale, effettiva e genuina riorganizzazione aziendale (la quale sarebbe ad esempio fittizia se subito dopo il licenziamento per soppressione della mansione venisse assunto un nuovo lavoratore con le medesime mansioni di quello licenziato).
  2. In secondo luogo va verificata (e quindi può essere sindacata) la sussistenza o meno del “nesso di causalità” tra la riorganizzazione e licenziamento (per intenderci, non vi sarebbe “nesso di causalità” e il licenziamento sarebbe illegittimo ove per la soppressione del reparto X si licenziasse un lavoratore addetto al reparto Y).
  3. Infine, il datore deve dimostrare di non potere reimpiegare il lavoratore in altre mansioni disponibili in azienda, cd.obbligo di repechage”. L’impossibilità di ricollocare il lavoratore in altre mansioni dovrà riguardare mansioni di pari Livello a quello di appartenenza del lavoratore, ma anche di Livello immediatamente inferiore coerentemente con la preferibilità di un c.d. demansionamento conservativo rispetto al licenziamento. L’obbligo datoriale di repêchage è, tuttavia, limitato alle mansioni inferiori compatibili con il bagaglio professionale di cui il lavoratore sia dotato al momento del licenziamento, che non necessitino di una specifica formazione che il predetto non abbia (Cassazione, ordinanza n. 17036/2024) e sarà onere del datore di lavoro quello di provare che il lavoratore non abbia la capacità professionale richiesta per occupare la diversa posizione libera in azienda.

 

Va detto come, secondo recente sentenza della Cassazione, la riorganizzazione aziendale collegata ad una politica di “riduzione dei costi” deve essere valutata nella sua concreta esistenza ed entità e, pertanto, di per sé stessa, non è sufficiente per la legittimità di un determinato licenziamento. Infatti, il datore di lavoro dovrà spiegare e provare  per quale ragione  le esigenze di contrazione dei costi dovessero riguardare proprio il reparto o il settore lavorativo del lavoratore licenziato piuttosto che ad un altro (Cassazione civile, sez. Lav., ordinanza 14 novembre 2023, n. 31660).

 

Ancora, il datore di lavoro deve sempre giustificare, secondo la regola di buona fede ex art. 1375 c.c., perchè la scelta di licenziare è caduta su quello specifico lavoratore  tra quelli addetti alla medesima mansione (secondo la giurisprudenza la scelta deve avvenire facendosi applicazione dei criteri previsti per l’individuazione dei lavoratori nei licenziamenti collettivi dall’art. 5 L. 223/1991,  ovvero facendosi riferimenti ai criteri individuati dalla contrattazione collettiva e in loro assenza  ai carichi di famiglia ed all’anzianità di servizio) (per tutte Cass. 06/12/2018, n. 31652).

 

 

 

3. Conseguenze reintegratorie e risarcitorie della sua illegittimità 

 

Le conseguenze dell’illegittimità del licenziamento variano in base alla data di assunzione del lavoratore, alla dimensione aziendale e/o e al motivo d’illegittimità del licenziamento.

 

Solo per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 (data in cui è entrato in vigore il D. Lgs. 23/2015, c.d. Jobs Act), il cui licenziamento sia stato dichiarato illegittimo perchè il fatto posto alla base del licenziamento per “giustificato motivo oggettivo” è manifestamente insussistente è previstala reintegra.

 

In questo caso, il giudice, annullando il licenziamento, ordina la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della reintegra (con un massimo di risarcimento pari a 12 mensilità).

 

I lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, in caso di licenziamento illegittimo sono assoggettati, invece, alle c.d. a tutele crescenti previste dal Jobs Act. Tale tutela, a carattere solo risarcitorio, è diversa a seconda delle dimensioni i aziendali.

 

  • In caso di aziende con almeno 15 dipendenti in una Unità Locale territoriale o 60 in tutta Italia:

al lavoratore illegittimamente licenziato spetta la tutela indennitaria pari a 2 mensilità (non soggette a contributi) dell’ultima retribuzione utile per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, con un minimo di 6 e un massimo di 36 mensilità (in caso di carenza motivazionale o violazione procedimentale, 1 mensilità per ogni anno di servizio con un minimo di 2 e un massimo di 12 ).

 

  • In caso di aziende al di sotto del requisito dimensionale di cui sopra:

al lavoratore illegittimamente licenziato spetta la tutela indennitaria compresa fra 3 e 6 mensilità (o da 1 a 6 in caso di carenza motivazionale o violazione procedimentale).

 

§

 

Recentemente, la Corte Costituzionale con sentenza n. 128 del luglio 2024 ha dichiarato l’illegittimità Costituzionale dell’art 3 comma 2 del Jobs Act che disciplina la sopraddetta c.d. tutela crescente in caso di licenziamento per “giustificato motivo oggettivo” nella parte in cui non prevedeva la reintegrazione del lavoratore ove sia accertata l’illegittimità del licenziamento per “insussistenza del fatto” alla base dello stesso  (così come nell’ipotesi d'”insussistenza del fatto” alla base di licenziamento disciplinare per “giusta causa”  e “giustificato motivo soggettivo”).

 

Alla luce di tale sentenza, in caso d’insussistenza delle ragioni addotte a motivo del licenziamento per “giustificato motivo oggettivo“, ovvero assenza di una reale riorganizzazione aziendale, al lavoratore licenziato spetta oggi la reintegra.

 

 

4. Conclusioni

 

La valutazione inerente i possibili vizi di un licenziamento per “giustificato motivo oggettivo” (e, quindi, la sua impugnabilità) è operazione complessa e la casistica delle possibili conseguenze della sua illegittimità è ancora più complessa (con una casistica oltremodo variegata).

 

Per tale ragione, per valutare se è possibile impugnare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo che dovessi avere ricevuto e le possibili conseguenze risarcitorie in caso di sua infondatezza è imprescindibile l’assistenza di un legale qualificato specializzato nella materia del diritto del lavoro che possa valutare il caso specifico ed assisterTI nel percorso volto alla sua impugnazione.

 

©copyright Studio Legale Albini & Partners

 

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AUTORE - Marcello Albini