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Intervista dell’Avv. Marcello Albini a “Panoramasanità”

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13/11/2012

 

Avvocato, perché la decisione di tutelare, legalmente, i cittadini che hanno subìto un danno medico?

Perché la salute è, per eccellenza, (insieme alla libertà) il bene supremo, il quale, infatti, trova giusto riconoscimento e tutela costituzionale nell’art. 32 della nostra Carta Costituzionale.

Personalmente nutro da sempre un profondo rispetto e un grande interesse per la professione medica, quale professione che svolge il nobile e difficile ruolo (e par tali ragioni non scevro di grandi responsabilità, morali e giuridiche) di tendere alla tutela del “bene salute” (appartengo infatti ad una famiglia di medici da lunga generazione).

Dall’altro lato, nutro profonda e privilegiata considerazione per i casi di danni alla salute cagionati per negligenze, imprudenze ed imperizie proprie di coloro che tale bene supremo era tenuti a preservare e nelle cui mani il paziente aveva riposto le proprie speranze di guarigione.

Si deve comprendere, infatti, come da ciò ne deriva, in caso di esito infausto delle cure, anche un maggior senso di frustrazione e di disappunto in capo al danneggiato, rispetto quanto già non ne rechi normalmente l’aver subito un danno ingiusto.

 Può spiegarci con quali modalità valuta e accetta un caso del genere?

Vi è sempre,per prima cosa, un colloquio “conoscitivo” che mira ad “esplorare” la storia clinica del paziente che lamenta di essere stato vittima di un episodio di malasanità, al fine di acquisire tutte le informazioni relative al suo caso e tutta la documentazione medica che lo riguarda.

Tale documentazione viene quindi sottoposta ai medici legali ed ai medici  specialisti (con riferimento alla branchia della medicina di cui si tratta) per una loro imprescindibile valutazione preliminare sul cartaceo.

Tale attività di analisi preliminare consente di escludere quei casi che si mostrino, già all’esito della stessa, infondati, ovvero per i quali non sussistono, anche nei casi in cui sia individuabile una colpa medica, i presupposti per agire in giudizio (ad esempio perché è decorso il termine di prescrizione).

Si evita quindi d’instaurare contenziosi infondati, ovvero che sarebbero destinati a venire rigettati. E’ nostra convinzione, invece, che solo un’attenta ed obiettiva attività di “screening” e consulenza preliminare possa mettere il paziente che si ritiene danneggiato da una pratica sanitaria nelle reale condizione di non instaurare cause infondate e di ottenere in un futuro contenzioso (stragiudiziale e/o giudiziale che sia) il giusto risarcimento dei danni patiti.

Il colloquio conoscitivo consente poi di rendersi conto di quali siano le aspettative del cliente con riferimento al suo specifico caso (che non sempre coincidono ed anzi spesso sono diverse da caso a caso).

Nel caso incui all’esito dell’esame del cartaceo risultino profilarsi  (effettivamente) colpe professionali si procederà con la perizia vera e propria, previo l’esame sulla persona del paziente.

E quali, invece, le tipologie di casi (sempre inerenti al settore sanitario), che non accetterebbe mai?

Non accetterei solo i casi in cui non ritenessi sussistente responsabilità professionale, ovvero dove il paziente sia spinto da una sorta di ricerca della colpa (medica) ad ogni costo, ed aldilà di ogni ragionevolezza.

Va’ detto, infatti, come – fatto positivo – come vi sia ai giorni nostri una maggiore consapevolezza del proprio diritto alla salute da parte della persona comune, per cui oggi, rispetto al passato, nessuno è più disposto a tollerare i cosiddetti casi di malasanità; mentre una volta esiti infausti erano accettati dal paziente stesso o dai superstiti, senza strascichi giudiziari, come esiti del destino.

Dall’altro lato tale acquisita maggiore consapevolezza porta con se  – come fatto negativo – che, in alcuni casi il paziente o i superstiti possano nutrire atteggiamenti di “non rassegnazione” e/o “non accettazione” in relazione ad un esito infausto che non è dovuto in vero ad una colpa medica.

Quanti casi di questo genere Le capitano, mediamente, in un anno e quali i costi?

Ricevo richieste di assistenza per malpractice sanitaria con cadenza settimanale, solo una parte arriva in Tribunale, mentre un 40% si rivela infondato e/o difficilmente sostenibile in un eventuale giudizio.

I costi variano con il variare del valore della causa e della sua complessità. Lo Studio privilegia sempre la risoluzione “non contenziosa” della controversia al fine di raggiungere – ove possibile -ad una definizione di carattere stragiudiziale, il tutto con abbattimento dei tempi per ottenere il giusto risarcimento.

A partire dal 21 marzo 2011, peraltro, per effetto del D.lgs 28/2010 per le controversie concernenti episodi di presunta”responsabilità medica” è stato introdotto l’obbligo (di recente dichiarato costituzinalmente ileggitmo dalla Corte Costituzionale) di procedere al “Tentativo Obbligatorio di Mediazione” (avanti agli appositi”Organismi di Mediazione”) come condizione di procedibilitàdell’azione giudiziale. Tale procedura ha costi limitati.

Spesso, internet e carta stampata, sono pieni di “richiami pubblicitari” da parte di Associazioni e/o Studi Legali che offrono ai cittadini tutele (anche gratuite) contro paventati casi di malasanità. Che ne pensa del proliferare di questi annunci?

Li giudico ingannevoli, forieri d’illusioni e d’incomprensioni e difficilmente possono essere affidabili.

Una consulenza di questo tipo (medico legale e giuridica) su questioni spesso assai complesse e incerte (che si prestano a più interpretazioni come la scienza medica stessa) richiede un approccio più responsabile,  professionale e approfondito. Mentre non ci può essere responsabilità, professionalità ed approfondimento ove una prestazione è resa gratuitamente .

Ed anzi, a riprova di ciò mi è capitato che tali Associazioni abbiano lasciato cadere nel nulla casi che poi si sono rivelati essere fondati!

Spiace dirlo,ma l’utilizzo della forma “gratuita” in siti on line (che, per inciso, è sanzionabile a norma del codice deontologico degli Avvocati) sovente ha quale scopo quello di fungere da ingannevole “specchietto per le allodole” per  (ahimè) “accaparrare clientela”.

Ritiene che si debba porre un freno e/o un ordine a questi onnipresenti slogan pubblicitari?

Ritengo di sì e come le dicevo diversi Ordini degli Avvocati (ma direi tutti) sanzionano comportamenti simili. Il problema è che il mezzo informatico è un mare magnum, difficilmente controllabile e mutevole per la sua stessa struttura.

E, proprio in riferimento ai succitati annunci pubblicitari (in cui spesso si parla di circa 90 morti al giorno per casi di malpractice), cosa risponde alla categoria medica che, talvolta, vi accusa di minare il rapporto tra medico e paziente?

Capisco le difficoltà in cui si trovano ad operare oggi, ed infatti  attualmente si sta’ verificando un nuovo fenomeno, quella della c.d. “medicina preventiva”, con la prescrizione di tutta una serie di esami ed indagini strumentali a volte non necessari, a scopo cautelativo, al fine di tutelarsi un domani in caso qualcosa vada storto, ritardando invece diagnosi già possibili.

Viene da se’ che non è il miglior modo di operare.

Il rapporto medico-paziente deve rimanere essenzialmente un rapporto di carattere fiduciario, nonché collaborativo, anzi proprio tale “rapporto” ha una valenza non secondaria.

Tale situazione, peraltro, ritengo si sia creata più per via di certa enfatizzazione creata dagli organi di stampa più che dagli avvocati.

Infine, secondo Lei, sarebbe necessaria una sinergia tra l’Ordine degli Avvocati e l’Ordine dei Medici in tal senso?

Ritengo potrebbe essere molto utile per entrambe le categorie e per la collettività.

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AUTORE - Studio Legale Albini