Licenziamento per giustificato motivo oggettivo nel rispetto di buona fede (Cass. civ., sez. lav. sent. 28.03.2011 n° 7046)
05/09/2011
In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (ove non sia applicabile la disciplina dei licenziamenti collettivi) il datore non è libero di decidere arbitrariamente con quale prestatore di lavoro interrompere il rapporto, ma, in ogni caso, deve operare tale scelta nel rispetto dei principi della buona fede e della correttezza.
Così si sono espressi i giudici della Suprema Corte di Cassazione, nella sezione lavoro, con la sentenza 28 marzo 2011, n. 7046.
Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento è, come noto, rimesso alla valutazione del datore di lavoro senza alcuna ingerenza da parte del giudice circa la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, in quanto espressione della libertà di iniziativa economica ex art. 41 della Costituzione.
Al giudice spetta il controllo circa l’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore sul quale grava l’onere di provare l’impossibilità di adibire il lavoratore in altra collocazione.
In merito ai prestatori di lavoro da coinvolgere nel licenziamento i giudici della Corte, nella decisione che si commenta, hanno sottolineato come la scelta del datore non sia, comunque, totalmente libera, ma limitata, oltre che dal divieto di atti discriminatori, anche dalle regole della correttezza e della buona fede a cui devono attenersi le parti del rapporto obbligatorio e, di conseguenza, anche nel recesso di una di loro.
Da ciò può conseguire, circa la scelta del lavoratore da licenziare, una applicazione analogica, pur se nella diversità dei relativi regimi, dei criteri previsti dalla legge 223/1991, nell’articolo 5, per quanto concerne i licenziamenti collettivi, nelle ipotesi in cui gli accordi sindacali non prevedano differenti e condivisi criteri di scelta.
Pertanto, qualora si proceda ad un licenziamento per riduzione di personale “omogeneo e fungibile” e al quale non si possono applicare i criteri di valutazione consueti (ossia utilità della singola posizione o possibilità di repechage in altre funzioni) dovranno essere presi in considerazione altri criteri quali i carichi di famiglia e l’anzianità del dipendente, senza trascurare, prosegue la Corte, eventuali esigenze tecniche, produttive ed organizzative dell’azienda, soprattutto se legate alle singole professionalità e mansioni.
Nella sentenza de qua si legge, infatti, testualmente che …….. “In questa situazione, pertanto, la giurisprudenza si è posto il problema di individuare in concreto i criteri obiettivi che consentano di ritenere la scelta conforme ai dettami di correttezza e buona tede (Cass. 06.09.03, n. 13058) ed ha ritenuto che possa farsi riferimento, pur nella diversità dei rispettivi regimi, ai criterì che la L. n. 223 del 1991, art. 5, hadettato per i licenziamenti collettivi per l’ipotesi in cui l’accordo sindacale ivi previsto non abbia indicato criteri di scelta diversi e, conseguentemente, prendere in considerazione in via analogica i criteri dei carichi di famiglia e dell’anzianità (non assumendo, invece, rilievo le esigenze tecnico – produttive e organizzative data la indicata situazione di totale fungibilità tra i dipendenti) (v. la già citata sentenza 16144, n. 2001, nonchè le successive 11.06.04, n. 11124)”.