Mobbing – Tutela civile e non penale (Corte di Cass. pen. sentenza n. 685/2011)
19/01/2011
Con la pronuncia indicata i Giudici della Suprema Corte non riconoscono tutela penale per il mobbing (salvo che non possa essere paragonato ai maltrattamenti in famiglia)
Vi è, invece, spazio perun’azione in sede civile per ottenere il risarcimento del danno.
Nello specifico i giudici hanno archiviato, a causa dell’assenza di norme antimobbing, la denuncia di una operaia dello stabilimento Fiat Mirafiori, esonerata da alcune prestazioni per motivi di salute, che aveva accusato il caporeparto di sottoporla a «trattamenti umilianti e vessatori, imponendole ritmi di lavoro non sostenibili, rivolgendole frasi offensive e minacciando di trasferirla se non avesse eseguito gli ordini».
La Cassazione osserva che il mobbing, cioè le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione, possono integrare il reato di maltrattamenti in famiglia solo quando il rapporto tra datore di lavoro e dipendente o di preposto e lavoratore sottoposto al suo controllo è di natura parafamiliare. Deve cioè essere caratterizzato «da relazioni intense e abituali, da consuetudini di vita tra i detti soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole in quello che ricopre la posizione di supremazia».
La fattispecie di mobbing, si rileva, è del tutto priva di un’autonoma rilevanza penale nel nostro codice, malgrado una delibera del Consiglio d’Europa del 2000 che vincolava tutti gli Stati membri a dotarsi di una normativa omogenea.
Rimane invece certamente percorribile la strada del procedimento civile, visto che il mobbing può costituire un titolo per ottenere il risarcimento del danno eventualmente sofferto dal lavoratore in conseguenza di condotte e atteggiamenti persecutori del datore di lavoro o del preposto. La responsabilità del datore di lavoro, chiarisce la corte, ha natura contrattuale sulla base di quanto stabilito dall’articolo 2087 c.c., norma questa in stretto collegamento con quelle costituzionali poste a presidio del diritto alla salute e del rispetto della sicurezza.
Il legittimo esercizio del potere direttivo e disciplinare dell’imprenditore infatti deve trovare un limite invalicabile nell’inviolabilità di questi diritti della personalità, dovendo comunque essere garantita al lavoratore la massima serenità nello svolgimento delle proprie mansioni.