Sanità, stop ai ricoveri lampo (La Cassazione ha ribadito l’obbligo di dimettere solo dopo opportune valutazioni)
04/03/2011
La sanità deve essere al servizio del malato. Stop ai ricoveri lampo e alle logiche “mercantili” che puntano a contenere la spesa. La sbarra è stata abbassata dalla Cassazione, che – con la sentenza numero 8254 del 2 marzo – ha ribadito che le dimissioni del paziente devono essere decise solo in base a valutazioni di “ordine medico” e non seguendo protocolli interni alla struttura. I giudici hanno annullato l’assoluzione di un medico dall’accusa di omicidio colposo di un paziente dimesso a distanza di nove giorni da un intervento cardiaco e deceduto poco dopo. Una perizia legale ha dimostrato che il paziente, mandato a casa troppo in fretta, sarebbe sopravvissuto grazie alle cure tempestive che avrebbe ricevuto in reparto.
Il medico ha tentato di scrollarsi di dosso le accuse affermando di essersi attenuto scrupolosamente alle linee guida adottate dall’ospedale, le quali però – a parere della Corte Suprema – possono essere “ispirate anche a logiche di economicità di gestione, mentre il medico deve perseguire un unico fine: la cura del malato utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici di cui al tempo dispone la scienza medica, senza farsi condizionare la esigenze di diversa natura”. Adesso per il medico si apre un nuovo processo, visto che il paziente deceduto – oltre a essere stato colpito da infarto – aveva un quadro clinico che consigliava prudenza, in quanto era fumatore e obeso.
Il diritto alla salute. Con la sentenza, la Cassazione ha confermato l’importanza dell’articolo 32 della Costituzione italiana, che riconosce il diritto alla salute come fondamentale prerogativa dell’individuo e interesse della collettività. Detto ciò, “la professione medica, in quanto libera sebbene possa svolgersi anche all’interno di una struttura pubblica ospedaliera, conserva un margine di autonomia – spiega Marcello Albini, avvocato esperto in diritto sanitario (www.studiolegalealbini.it) – Questo significa che, laddove ci siano dei protocolli e delle linee guida, il medico non può limitarsi ad applicarli pedestremente, senza valutare nella sua autonomia qual è la condizione clinica del paziente, ad esempio prima della sua dimissione”. In questo senso, le linee guida dettano criteri generali di operatività, che però vanno di volta in volta valutati nel caso di specie.
In generale, una prestazione medica può essere eseguita sia da un libero professionista sia dal dipendente di un ente ospedaliero o di una casa di cura privata. Nel primo caso, il paziente conclude un “contratto” direttamente con il professionista e, di conseguenza, l’eventuale responsabilità per i danni causati da un’errata attività diagnostica o terapeutica è riconducibile all’articolo 1218 del codice civile (“Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”). Nel secondo caso, invece, la convenzione intercorre tra la struttura sanitaria, il medico e il paziente. “Anche in questo caso comunque si stipula un contratto definito da ‘contatto sociale’ – riprende Albini – che prevede in caso di errore sia una responsabilità extracontrattuale, ovvero quella relativa al danno ingiusto, sia quella contrattuale dovuta al comportamento negligente del medico”.
Quale risarcimento. Il danno ingiusto è regolato dall’articolo 2043 del codice civile, che obbliga chiunque lo cagioni (per via di un fatto doloso o colposo) a risarcire la vittima. L’articolo 2059 invece assicura il pagamento dei danni non patrimoniali, meglio noti come morali ed esistenziali, ovvero una sorta di “ristoro” alla sofferenza e al patimento subiti. Nel secondo caso, la valutazione dell’importo in denaro viene stabilita dal giudice in maniera equitativa e l’abitudine è quella di forfetizzare il danno in una determinata percentuale rispetto a quello biologico.
“Il medico deve avere cura della salute del paziente a prescindere da qualsiasi interesse economico o di altro genere che possa eventualmente essere alla base delle linee guida da seguire” conclude Albini. Ma bisogna prestare attenzione alla lettura di questa sentenza: il rapporto tra medici e pazienti deve sempre essere amichevole e di fiducia. “Negli ultimi tempi, i primi tendono a tutelarsi con una medicina preventiva, sottoponendo spesso a più esami del necessario per tutelarsi. L’importante è che queste pronunce non determinino degenze eccessivamente prolungate, creando di conseguenza lunghissime file di attesa fuori dalle strutture”.
Paola Rinaldi