Sulla responsabilità solidale della struttura sanitaria e del medico e sull’azione di rivalsa della struttura sanitaria
18/09/2009
Per giurisprudenza pacifica, l’accettazione del paziente nell’ospedale (privato o pubblico che sia) ai fini del ricovero, comporta la conclusione di un “contratto dell’opera intellettuale” tra il paziente e l’ente ospedaliero, il quale assume a proprio carico l’obbligazione di svolgere le prestazioni sanitarie, ovvero l’attività diagnostica e la conseguente attività terapeutica in relazione alla situazione patologica del paziente preso in cura.
Ai sensi dell’art. 2232 c.c., il prestatore d’opera, nell’esecuzione dell’incarico “ …può valersi, sotto la propria direzione e responsabilità (1228) dei sostituti e ausiliari …”.
Ne consegue, che la responsabilità dell’ente ospedaliero per i danni causati al paziente ha natura “contrattuale”, sia in relazione ai propri inadempimenti, ai sensi dell’art. 1218 c.c. (ad es. in ragione della carente o inefficiente organizzazione relativa alle attrezzature o alla messa a disposizione di medicinali o del personale medico ausiliario e paramedico, o alle prestazioni di carattere “alberghiero”), sia in relazione al comportamento colposo o doloso dei sanitari di cui si avvale, ai sensi dell’art. 1228 c.c. secondo cui “ … il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro …”, ancorché non siano alle sue dipendenze (Cass. civ. n. 8826/07; Cass. civ. 103/99) dovendosi qualificare quali sostituti e/o ausiliari del debitore.
Ciò che rileva, ai fini considerati, è la circostanza che dell’opera del terzo il debitore originario comunque si avvalga nell’attuazione del rapporto obbligatorio, essendo irrilevante la natura del rapporto sussistente tra ausiliario terzo (medico) e debitore originario (struttura sanitaria pubblica e/o privata).
In altre parole la responsabilità che dall’esplicazione dell’attività del terzo consegue a carico della struttura sanitaria deriva dal principio per cui chi trae vantaggio da una situazione, deve sopportarne anche i pesi (“cuius commoda eius et incommoda”).
Tale principio rimane superabile, solo per l’ipotesi di autonoma ed esorbitante iniziativa del medico, ovvero di fatto lesivo commesso al di fuori dell’esercizio delle proprie funzioni e per finalità estranee o contrarie ad esse che non possa dirsi in rapporto di “occasionalità necessaria” con l’espletamento delle mansioni inerenti il servizio cui è adibito e che normalmente segna l’inapplicabilità dell’art. 1228 c.c..
Va, altresì precisato in quest’ottica come, al fine di considerare interrotto il rapporto in base al quale l’ente è chiamato a rispondere, a nulla rileva la distinzione tra comportamento colposo e comportamento doloso del soggetto agente, giacchè per la sussistenza del rapporto causale in forza del quale sussiste la responsabilità dell’ente è sufficiente la mera “occasionalità necessaria” tra l’espletamento delle mansioni inerenti il servizio e il fatto produttivo del danno (Cass. civ. n. 6756/01; Cass. civ. 1682/00).
L’ente risponde, in sostanza, di tutte le ingerenze dannose che al medico e/o altro ausiliario sono rese possibili dalla posizione conferitagli rispetto al terzo danneggiato e cioè dei danni che il dipendente può arrecare in ragione di quel particolare contatto cui si espone nei suoi confronti il paziente nell’attuazione del rapporto con la struttura sanitaria.
Tale responsabilità trova fondamento non già nella colpa (nella scelta degli ausiliari o nella vigilanza) bensì nel rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento dell’obbligazione (Cass. civ. 6756/01; Cass. civ. 5329/03).
Del pari è irrilevante, per la sussistenza della responsabilità della struttura sanitaria, la circostanza che ad eseguire l’operazione sia un medico di fiducia del paziente, laddove la scelta cada comunque su un professionista inserito nella struttura sanitaria (v. Cass. civ. 1698/06; Cass. Civ. 571/05; Cass. civ. 13066/04).
Potrà invece escludersi la responsabilità della struttura ospedaliera solo nell’ipotesi in cui il medico di fiducia indicato dal paziente sia estraneo all’organizzazione del debitore, ragion per cui il medesimo dovrà propriamente configurarsi quali mero “cooperatore del creditore”, il quale ultimo, fornendo al debitore il mezzo per l’adempimento, dovrà conseguentemente sopportare le conseguenze dannose da tale soggetto causate.
In conclusione, l’errore del medico dà origine ad una “responsabilità solidale” <<impropria>> della struttura sanitaria e del professionista per il danno cagionato al paziente, nel senso che soggetti diversi sono chiamati a rispondere in via solidale a diverso titolo, ovvero sulla base di titoli autonomi di responsabilità (artt. 2043 e 1218 c.c. per il medico; 2049 e 1228 c.c. per la struttura sanitaria) per il medesimo evento.
La nozione di “solidarietà” è fornita dall’art. 1292 del codice civile, ai sensi del quale “… L’obbligazione è in solido quando più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno può essere costretto all’adempimento per la totalità e l’adempimento da parte di uno libera gli altri …”. Dunque, ogni creditore (paziente) ha la possibilità di rivolgersi per l’intero a ciascun debitore.
La solidarietà passiva non ha, invece, alcuna influenza nei rapporti interni tra i condebitori solidali, fra i quali, in via generale, l’obbligazione si divide secondo quanto risulta dal titolo o, in mancanza in parti eguali (art. 1298 e 1299 c.c.).
Prima di entrare nel merito dei rapporti “interni” (medico-struttura sanitaria e conseguenti limiti e condizioni per l’esperibilità dell’azione di rivalsa della seconda nei confronti del primo) va detto, pertanto, come nei rapporti “esterni” (medico e struttura sanitaria-paziente) non vi sia alcuna distinzione a seconda che il medico sia libero professionista che opera all’intero di struttura ospedaliere, ovvero medico dipendente di azienda Ospedaliera pubblica, in quanto nei confronti di quest’ultimo non troverebbe applicazione il d.p.r. n. 3/1957 relativo ai dipendenti civili dello Stato che limita la responsabilità personale di questi ultimi direttamente nei confronti del terzo soltanto nel caso di dolo o colpa grave.
Ritiene, infatti, la giurisprudenza (Cass. n. 2144/98) di legittimità che anche la responsabilità del medico dipendente pubblico, al pari di quello del libero professionista, debba essere disciplinata dalle norme che regolano la responsabilità in tema di prestazione professionale medica in esecuzione di un contratto d’opera professionale, senza che possa trovare applicazione nei confronti del medico dipendente pubblico la normativa “di favore” prevista dagli artt. 22 e 23 d.p.r. n. 3/57. Ciò al fine di evitare un evidente disparità di trattamento tra medici dipendenti pubblici e medici dipendenti privati e/o liberi professionisti che si riscontrerebbe se si applicasse la normativa pubblicistica.
Si tratta, a questo punto di verificare l’esperibilità e l’opportunità – nei rapporti interni struttura-medico – dell’azione di rivalsa da parte della prima che abbia risarcito in via diretta ed “in toto” il paziente, nei confronti del medico “libero professionista” o “dipendente pubblico”; ovvero come interviene, e con che conseguenze, l’eventuale polizza assicurativa dell’ente stesso nell’ambito della responsabilità civile del medico operante.
Con riferimento al medico libero professionista sarà sufficiente rifarsi al dettato di cui all’art. 2055 c.c. “… Se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido (1292) al risarcimento del danno. Colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall’entità delle conseguenze che ne sono derivate (1299). Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali…”, ovvero ai sensi dell’art. 1299 c.c. “… Il debitore in solido che ha pagato l’intero debito può ripetere dai condebitori soltanto la parte di ciascuno di essi .…”
Si può quindi affermare che la questione relativa all’azione di regresso spettante alla struttura sanitaria ai sensi degli artt. 1299 e 2055 c.c. nei confronti del medico libero professionista si pone qualora la struttura abbia pagato l’intero debito, potendo in tale ipotesi, agire in via di regresso verso l’altro e/o gli altri debitori solidali (medici operanti) per ottenere il risarcimento del debito di loro rispettiva spettanza; la quale spettanza, se non risulta diversamente (ovvero se non sia intervenuta una sentenza passata in giudicato che abbia determinato la percentuale delle rispettive responsabilià), si dovrà presume perlomeno uguale ex art. 2055 c.c. con una ripartizione “interna” del danno nella misura di 1/2 , 1/3 ecc.. a seconda di quanti siano i soggetti responsabili del danno medesimo.
Viceversa, se intervenisse la polizza per la responsabilità civile professionale della struttura ove non escluda il diritto di rivalsa nei confronti del personale, sarà l’assicurazione dell’azienda ospedaliera a surrogarsi al danneggiato ai sensi dell’art. 1916 c.c. e quindi richiedere al medico di corrisponderle quanto pagato al paziente danneggiato in toto o in quota parte.
Venendo ora all’ipotesi in cui il danno sia stato cagionato da un medico “dipendente pubblico”, la domanda di rivalsa dell’ente ospedaliero (condannato al risarcimento del danno) nei confronti del medico rientra nella competenza della Corte dei Conti e, per effetto dell’art. 1, L. n. 20/94 come modificato dall’art. 3 D.L. n. 543/96 (“ … la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave…”) potrà essere esperita solo quando il danno sia stato arrecato con “dolo” o “colpa grave”, sussistendo solo in questa ipotesi la responsabilità amministrativa nei confronti dell’ente con esclusione quindi delle ipotesi di colpa lieve.
Analogamente, l’art. 28, 2° co., del d.p.r. n. 761/79 esclude il diritto di rivalsa nei confronti del medico “dipendente pubblico” in caso di colpa lieve anche per l’impresa di assicurazione per la responsabilità civile, laddove prevede che “ … le Usl possono garantire anche il personale dipendente, mediante adeguata polizza di assicurazione per la responsabilità civile, dalle eventuali conseguenze derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi, ivi comprese le spese di giudizio, relativamente alla loro attività, senza diritto di rivalsa, salvo i casi di dolo o colpa grave …”.
In questo modo, l’azione di rivalsa dell’azienda sanitaria nei confronti del medico si può intraprendere soltanto nelle ipotesi in cui l’azienda sanitaria, da un lato, non abbia provveduto ad assicurare i propri dipendenti, ovvero. il danno superi i massimali di polizza e, dall’altro lato, il danno sia, comunque, stato determinato da dolo o colpa grave del medico.
Va peraltro tenuto conto come, da un lato, nel giudizio di rivalsa avanti alla Corte dei Conti ai fini dell’accertamento della responsabilità amministrativa del medico nei confronti dell’ente, il concetto di “colpa grave” non coincida con i concetti elaborati dalla giurisprudenza civile riguardo alla “colpa professionale medica”, essendo invece più vicino alle figure dell’”illecito doloso” (talvolta è stata identificata con un comportamento riprovevole per l’inadeguatezza e la superficialità, ovvero con un errore non scusabile per la grossolanità o l’assenza delle cognizioni fondamentali attinenti alla professione medica; ad es: il paziente che subisca un pregiudizio a causa dell’assenza del medico, allontanatosi indebitamente dall’Ospedale, Corte dei Conti, sez. III, n. 174/01); dall’altro lato, nel caso in cui nel corso del giudizio avanti alla Corte dei Conti, venga accertato il dolo o la colpa grave del medico e la sua consegnate responsabilità amministrativa nei confronti dell’ente, il giudice contabile potrà porre a carico del sanitario soltanto una parte del danno che la struttura abbia risarcito al terzo danneggiato, in forza del potere di riduzione dell’addebito di cui il giudice contabile può fare uso in presenza di determinate circostanze (che, se non valgono ad escludere la colpa grave del medico consentono di limitare la condanna del medico che abbia sbagliato al risarcimento di una sola parte del danno sopportato dalla struttura sanitaria).
Avvocato Marcello Albini