CHI NON SI VACCINA RISCHIA IL LICENZIAMENTO ? E L’AZIENDA CHE IMPONESSE IL VACCINO COSA RISCHIEREBBE ?
Il dipendente che non si vaccina rischia il licenziamento ?
Un datore di lavoro può imporre un obbligo di vaccino per i propri dipendenti ?
In caso di focolaio epidemico all’interno della propria Azienda, a quali conseguenze potrebbe andare incontro un datore di lavoro ove non avesse imposto un obbligo vaccinale ?
A cosa potrebbe andare incontro, invece, il datore ove imponesse il vaccino ?
Le questioni che si sono aperte sul tema sono molteplici, complesse e con molte e diverse conseguenze e sfaccettature (da tenere in considerazione a seconda di quale strada si decida intraprendere).
Vediamo di dare una risposta, o meglio una interpretazione.
L’art. 2087 c.c. dispone che “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
In altre parole, per evitare la sua responsabilità per “infortuni sul lavoro“, il datore di lavoro è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa tutte quelle misure precauzionali note alla miglior scienza esperienza e tecnologia del momento idonee (secondo il principio di maggior sicurezza tecnologica possibile) a prevenire il rischio di “infortunio sul lavoro“.
Applicando tale principio in materia di infortunio da COVID-19, ne deriva che il datore di lavoro (non solo potrebbe ma) dovrebbe imporre la vaccinazione per non andare incontro a possibili sue responsabilità risarcitorie in caso di contagi (“per non aver fatto tutto quanto era possibile e idoneo a prevenire il contagio”).
Per tali ragioni, il datore di lavoro – che (chiariamolo) non può imporre un “obbligo vaccinale” (può farlo solo Stato, con legge e per esigenze di salute pubblica) -potrebbe, tuttavia, ritenere di opporre un rifiuto (in astratto apparentemente giustificato) alla prestazione lavorativa di un dipendente che non si sottoponga alla misura vaccinale (quale misura idonea secondo la migliore scienza del momento a evitare la diffusione del contagio) sempre al fine di tutelare la salute dei propri dipendenti e di prevenire una propria responsabilità in caso di contagio sul posto di lavoro.
Tuttavia, si deve ritenere che tale motivazione (plausibile in fatto) NON sarebbe giustificata in diritto, in quanto, ad escludere una responsabilità del datore deve ritenersi essere sufficiente il rispetto dei “Protocolli per la prevenzione e la diffusione del contagio da Covid-19” emessi ad aprile 2020.
Infatti, l’art. 29 bis della Legge n. 40/2020 ha stabilito che, ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, il datore di lavoro adempie all’obbligo dell’articolo 2087 del Codice Civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso, sottoscritto il 24 aprile 2020.
Peraltro, ribadito che si ritiene illegittimo un “obbligo di vaccinazione” imposto dal datore di lavoro (senza una legge di stato) – in quanto al diritto (dovere) del datore di lavoro di fare tutto quanto possibile per prevenire infortuni sul lavoro, si contrapporrebbe il “diritto all’autodeterminazione” in materia di salute del lavoratore (diritto di rango costituzionale e, quindi, che dovrebbe prevalere) – il datore di lavoro che lo imponesse si accollerebbe tutte le conseguenze che ne potrebbero derivare, conseguenze allo stato (forse) non ancora del tutto prevedibili alla luce della novità dei vaccini e della loro breve sperimentazione.
Neppure il datore potrebbe proteggersi da eventuali conseguenze negative facendo sottoscrivere al lavoratore formali rinunce per eventuali danni futuri da vaccino, in quanto le transazioni e le rinunce a diritti “futuri” (quale quello a chiedere il risarcimento del danno al datore di lavoro) sono NULLE e inefficaci ai sensi dell’art. 2113 cod. civ. (secondo cui sono valide le rinunce a diritti già maturati ed entrati nel patrimonio del lavoratore e unicamente con le particolari forme solenni previste da tali norma).
Quanto al personale delle Rsa e/o medico- infermieristico addetto ai reparti ospedalieri dedicati alla cura dei pazienti Covid- 19 che non dovesse sottoporsi al vaccino contro il Covid, i lavoratori potrebbero, invece, considerarsi “inidonei alle mansioni” con conseguente assegnazione a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori (è evidente che per tali specifici rapporti la protezione della salute degli assistiti è proprio l’oggetto della prestazione richiesta agli addetti del settore).
Riguardo tali categorie potrebbe trovare applicazione specifica l’art. 279 del TU Sicurezza, che prevede che: “il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari per quei lavoratori per i quali, anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione, fra le quali la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente”.
Tale norma è, infatti, riferita al caso specifico in cui gli agenti biologici siano “presenti nella lavorazione” come potrebbe forse considerarsi per tali categorie.
Peraltro, come precisato dalla Suprema Corte (n. 44142 del 19 luglio 2019), in tema di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche sono dettate a tutela non soltanto dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma anche dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell’impresa.
Analoghe valutazioni a quelle sopra prospettate potrebbero prospettarsi in sede di assunzione.
Una legge che imponga l’obbligo della vaccinazione dai più sarebbe vista come una inaccettabile imposizione;
in realtà, è mia opinione che rappresenterebbe una garanzia per il cittadino, perché lo Stato “certificherebbe” anche con legge la sicurezza del vaccino (l’unico profilo d’incertezza sarebbe dato dalla molteplicità dei possibili vaccini) e si assumerebbe così una responsabilità diretta per le (eventuali, non credute) reazioni allergiche.
Tale assunzione di responsabilità dello Stato dovrebbe aiutare a sciogliere quella incertezza che aleggia sulla vaccinazione e a superare in radice i dubbi interpretativi sopra esposti in materia di lavoro.
Avv. Marcello Albini
©opyright Studio Legale Albini & Partners
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