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Covid-19: Tampone per chi ?

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In Italia la diffusione del coronavirus è diventata un caso nazionale verso la terza settimana di febbraio, con la notizia di un focolaio a Codogno, in provincia di Lodi. Dopo alcuni giorni di riflessione in cui il test venne fatto a persone in condizioni molto diverse, il Consiglio Superiore di Sanità, l’organo di consulenza tecnico-scientifica del ministero della Salute, diffuse alcune linee guida per cercare di uniformare l’approccio. Il documento è datato 27 febbraio 2020.

 

L’indicazione del Consiglio fu di sottoporre al test soltanto le persone che presentavano sintomi riconducibili con sicurezza all’infezione da COVID-19, la malattia provocata dall’attuale coronavirus, e il cui cosiddetto «link epidemiologico» era chiaro. Dovevano avere avuto quindi un contatto stretto con un contagiato, o abitare in una zona interessata (in quel momento soprattutto la provincia di Lodi, il centro del primo focolaio).

 

Il 9 marzo, quando l’epidemia coinvolgeva ormai buona parte del territorio italiano, il ministero diffuse una circolare (PDF) in cui precisava più chiaramente il profilo delle persone a cui fare il test. L’impostazione rimaneva la stessa: il test si fa solo alle persone con sintomi riconducibili al coronavirus e un legame chiaro con una zona colpita. Ancora oggi il ministero mantiene questa posizione, anche dopo gli inviti espliciti dell’OMS a fare il test su quante più persone possibili.

 

La circolare del 9 marzo era più dettagliata del documento del 27 febbraio: paradossalmente, però, da allora l’approccio delle autorità locali al test è diventato sempre meno uniforme.

 

Cosa succede in Italia oggi
La circolare, ancora in vigore, prevede tre profili di persone da sottoporre al test.

 

Primo: persone che hanno una infezione respiratoria acuta – cioè febbre, tosse o difficoltà a respirare – che non possa essere spiegata con un’altra diagnosi, e che abitano o sono passati per un’area «in cui è segnalata trasmissione locale» del coronavirus.

 

Secondo: persone che hanno una infezione respiratoria acuta e sono state a «stretto contatto» con una persona contagiata o una probabilmente contagiata. Parliamo soprattutto di familiari, colleghi di lavoro o compagni di squadra di persone su cui ci sono pochi o zero dubbi sul fatto che siano contagiate.

 

Terzo: persone che hanno un’infezione respiratoria grave, che richiede un ricovero in ospedale.

 

La circolare espandeva le linee guida del 27 febbraio in modo anche significativo, ma continuava a ritenere vincolante la comparsa di sintomi riconducibili all’infezione da coronavirus. Un’indicazione che presto è stata superata da varie autorità. A seconda del luogo in cui si trovano i sospetti contagiati, dimostra una ricerca compiuta dal Post, il trattamento dei pazienti può essere molto diverso e così il criterio con cui il test viene o non viene fatto.

 

Le linee guida del governo, infatti, devono essere recepite e applicate da ogni regione, che ha la competenza esclusiva sulla sanità, e soprattutto deve gestire situazioni molto diverse fra loro.

 

Facciamo un esempio concreto.

Due fratelli vivono nella stessa casa (ma possono essere anche due conviventi, due amici, due semplici coinquilini, eccetera). Il fratello A non ha alcun sintomo. Il fratello B soffre di sintomi compatibili con la COVID-19, ha trascorso il weekend in una grande città del Nord ma non riesce a ricostruire da chi possa essere stato contagiato (primo profilo, secondo la circolare del 9 marzo).

Secondo la prassi raccomandata a livello nazionale, al ritorno dal weekend al Nord il fratello B ha dovuto contattare il proprio medico di base o la propria azienda sanitaria locale (ASL), che quasi sicuramente gli hanno indicato di mettersi in isolamento.

 

Una volta comparsi i sintomi, B torna a farsi vivo con il medico o l’ASL, rientrando pienamente nel profilo 1. Se B vive in una delle regioni che rispettano la circolare del 9 marzo, a quel punto l’ASL invia in ambulanza una squadra di operatori sanitari che esegue su di lui il test. Solo su di lui, perché suo fratello A non mostra alcun sintomo. A quel punto anche A finisce in isolamento, come prevedono le linee guida ministeriali sull’isolamento per le persone che sono state a contatto con una persona sicuramente contagiata.

 

Non tutte le regioni, però, stanno adottando i criteri della circolare sui tamponi. Se A e B vivono in una delle diverse regioni che stanno facendo più test rispetto a quelli che prevede il ministero, dopo che B manifesta i primi sintomi la regione farà il tampone sia a lui, sia ad A, sia ai loro genitori e amici più stretti, nella speranza di trovare e isolare tutti i positivi.

 

Se invece A e B vivono nella regione che dichiaratamente fa meno test rispetto alla circolare – come la Lombardia, la regione che fra l’altro è di gran lunga la più colpita – il tampone non verrà fatto né a B né tantomeno ad A, che non inizia neppure l’isolamento perché non c’è alcuna prova che B sia positivo, nonostante i suoi sintomi.

 

Detto questo, non si capisce come sia stato possibile e in base a quale circolare del Ministero della salute politici, calciatori e personaggi televisivi siano stati sottoposti a tampone da asintomatici.

Questa è una domanda alla quale ancora oggi non c’è una riposta.

 

E, intanto, i medici in corsia si contagiano e muoiono.

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AUTORE - Marcello Albini