Covid19 contratto da operatori sanitari è “infortunio sul lavoro”: circolare Inail 17 marzo 2020
In caso di contagio da Codiv19 per gli operatori sanitari dipendenti la nota Inail 17 marzo 2020 è intervenuta prevedendone la classificazione (e la conseguente trattazione) come “infortuni sul lavoro“.
La previsione comporta la tutela indennitaria Inail prevista dal D.P.R. n. 1124 del 1965 con il ricorso a presunzioni semplici tale da ricondurre la contrazione del virus al “rischio professionale specifico” insito nello svolgimento dell’attività sanitaria (certo la più esposta di tutte al rischio di contagio). La tutela assicurativa, infatti si estende anche alle ipotesi “in cui l’identificazione delle precise cause e modalità lavorative del contagio si presenti problematica“, discendendone che “..ove l’episodio che ha determinato il contagio non sia percepito o non possa essere provato dal lavoratore, si può comunque presumere che lo stesso si sia verificato in considerazione delle mansioni/lavorazioni e di ogni altro indizio che in tal senso deponga”.
In tali casi, pertanto, la prova del contagio può essere presunta per la presenza di elementi di prova “gravi, precisi e concordanti” e prescindendo dall’individuazione dello specifico momento di contrazione del virus, ovvero la tutela assicurativa si estende anche ai casi in cui l’identificazione delle precise cause e modalità del contagio si presenti problematica ( se l’episodio che lo ha determinato non può essere provato dal personale medico, infatti, si presume che il contagio sia una conseguenza delle mansioni svolte ).
La Nota dell’Inail chiarisce che le tutele assicurative per gli operatori sanitari che abbiano contratto il virus, riguardano:
- l’evento “infortunio” costituito dalla contrazione del coronavirus (per gli operatori sanitari positivi al test);
- il periodo di “quarantena“ causato dalla malattia (a seguito di positività al test).
Rimane, invece, escluso dalle tutele Inail il periodo di “quarantena” per scopo sanitario (in quanto non vi è la prova della contrazione del coronavirus).
Ne consegue che gli operatori sanitari che abbiano contratto Covid-19 hanno diritto di ricevere dall’Inail:
- l’indennizzo da ‘”inabilità temporanea” per tutta la durata del periodo di “quarantena” (che è equiparato alla malattia);
- l’indennizzo a titolo di “danno biologico” per i postumi permanenti a seguito dalla contrazione del Covid-19, da corrispondersi in una “somma capitale” (per i postumi compresi tra 6% e 15%) o tramite “rendita” (in caso di postumi superiori al 16%);
- nel caso in cui la malattia abbia causato il decesso dell’infortunato, i suoi superstiti, in via di tutela Inail hanno diritto all’”assegno funerario” ed alla “rendita ai superstiti” (art. 85 TU).
La trattazione dei casi come “infortunio sul lavoro“, prescindendo dall’esatta individuazione del momento in cui il virus è stato contratto (in quanto “rischio professionale” insisto nello svolgimento dell’attività sanitaria) permette una tutela celere e certa del diritto leso, in quanto non spetta sul lavoratore l’onere di provare la contrazione della malattia in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa.
Della platea dei soggetti beneficiari della copertura assicurativa non fanno parte, tuttavia, categorie particolarmente esposte al “rischio di contagio” come quelle dei medici di famiglia e dei medici liberi professionisti nonché dei farmacisti, ragion per cui è auspicabile un allargamento della copertura assicurativa ad altre categorie di operatori sanitari.
Ciò premesso va detto come la tutela Inail NON copra ogni pregiudizio subito dall’operatore sanitario danneggiato, in quanto la copertura Inail garantisce unicamente un’indennità e NON l’integrale RISARCIMENTO DEL DANNO.
L’operatore sanitario potrà, tuttavia, ottenere l’integrale risarcimento del danno agendo nei confronti del proprio DATORE DI LAVORO ASL ogniqualvolta l’infortunio sia derivato dalla violazione dal parte del datore di generiche e/o specifiche norme in materia di prevenzione degli “infortuni sul lavoro“, non avendo il datore osservato le generali (ed elementari) precauzioni necessarie a garantire l’incolumità del lavoratore, ovvero gli specifici obblighi previsti in materia di Sicurezza sul lavoro dal “Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro” e risulti provato anche il “nesso di causa” tra le omissioni del datore di lavoro e l’infortunio che ne è derivato.
Tra gli elementi che riteniamo possano portare ad una condanna al risarcimento del datore di lavoro Asl per mancata adozione di misure volte a minimizzare il “rischio professionale sanitario“, citiamo:
- la MANCANZA DI DISPOSTIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE (DPI) negli Ospedali (in particolare, mascherine, camici, guanti, ecc..), in violazione dell’art. 74 D.Lgs 81/2008 in materia di “Sicurezza sul Lavoro”;
- mancato isolamento tempestivo dei casi di medici positivi;
- le eventuali violazioni della circolare del Ministero della Salute 5443/2020 che al progredire dell’epidemia ha dettato misure di sicurezza più stringenti,;
- la mancata predisposizione dei piani regionali previsti dal “Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale” predisposto dal Ministero della Salute nel 2003 (dopo l’influenza aviaria) e aggiornato al 2006 (tuttavia non ripreso ed aggiornato dopo la “Dichiarazione dello stato di emergenza nazionale” del 31 gennaio 2020).
Va, infatti, detto come in base alla disciplina generale di cui all’art. 32 della Costituzione e all’art. 2087 c.c., il datore di lavoro è responsabile per il danno alla salute del lavoratore in caso d’“infortunio sul lavoro” qualora non abbia adottato nell’esercizio dell’impresa le misure che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità dei prestatori di lavoro, vigendo una “presunzione di responsabilità” in capo allo stesso, sul quale grava l’onere della prova di “aver fatto tutto il possibile per evitare il danno” e cioè di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza apprestando tutte le misure di sicurezza e prevenzione tecnologicamente fattibili (ex pluribus: Cass. civ. sez. Lav., 08 maggio 2007, n. 10441).
Anche per tale motivo, in tali ipotesi, si ritiene, a ragione, che all’operatore sanitario che abbia contratto Covid-19, spetti anche il cd. DANNO DIFFERENZIALE, ovvero la differenza fra l’integrale risarcimento del danno secondo i modelli della responsabilità civile e quanto liquidato dall’INAIL per la tutela assicurativa obbligatoria.
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