Patto di Prova nel rapporto di lavoro
Il “patto di prova” consiste in un patto a tutela dell’interesse di entrambe le parti contrattuali (lavoratore e datore di lavoro) a sperimentare la convenienza di un nuovo rapporto di lavoro.
Vediamo ora le principali caratteristiche di tale patto, i suoi limiti, requisiti di validità e possibili tutele del lavoratore.
1️⃣ Forma e durata.
La durata del “patto di prova” deve risultare da atto scritto fin dall’inizio del rapporto a pena di nullità del “patto di prova”; in tal caso il patto viene considerato come non apposto e il contratto di lavoro a tempo indeterminato (Cass. Civ. Sez. Unite, 09 marzo 1983, n. 1756).
Il patto deve essere anteriore o contestuale all’instaurazione del rapporto di lavoro non essendo ammissibile una stipulazione successiva. La durata del “periodo di prova” non può essere superiore a 6 mesi (salva inferiore durata stabilita dai contratti collettivi).
Il patto può essere apposto anche a “contratto di apprendistato”, “contratto a tempo determinato”, “part-time”, mentre (in quanto volto a tutela dell’interesse di entrambe le parti contrattuali a sperimentare la convenienza di un nuovo rapporto di lavoro) deve ritenersi nullo quando tra le parti è già intercorso un rapporto di lavoro avente ad oggetto le stesse mansioni di quello a cui è apposto il patto.
2️⃣ Indicazione delle mansioni nel patto di prova.
Il “patto di prova” deve indicare specificatamente le mansioni assegnate al lavoratore. Il datore di lavoro, infatti, per valutare il superamento della prova deve esprimere una valutazione su mansioni esattamente identificate.
3️⃣ Licenziamento durante il patto di prova o alla sue fine.
Il licenziamento intimato nel corso o al termine del periodo di prova ha natura discrezionale e non deve essere motivato. Durante il periodo di prova, infatti, ciascuna parte è libera di recedere senza obbligo di preavviso.
La giurisprudenza di legittimità ha inoltre chiarito che, ai fini della validità ed efficacia del licenziamento intimato durante il periodo di prova, non è richiesto per legge l’atto scritto (cfr., da ultimo, Cass., 12 dicembre 2017, n. 29753 e le pronunce ivi richiamate).
Ciò non vuol dire tuttavia che la recidibilirà sia indiscriminata.
➡️ Il licenziamento intimato a un lavoratore durante il periodo di prova trova un primo limite infatti nel motivo estraneo alla causa del patto perchè illecito o discriminatorio o contrario a norme imperative di ordine pubblico e al buon costume.
➡️ In secondo luogo, è illegittimo il licenziamento nel caso in cui la durata del patto sia inadeguata per accertare le capacità professionali del lavoratore.
➡️ In terzo luogo, è nullo il licenziamento intimato in assenza di una specifica determinazione nel patto delle mansioni assegnate al lavoratore (essendo in tal caso impossibile esprimere una valutazione di Idoneità del lavoratore alle mansioni)
➡️ Analogamente, è illegittimo il recesso laddove il lavoratore abbia svolto mansioni diverse rispetto a quelle previste nel “patto di prova“.
Le conseguenze del licenziamento illegittimo intimato durante lo svolgimento del patto di prova sono la prosecuzione – ove possibile – dello svolgimento del perido di prova per il periodo di tempo mancante prefissato, oppure, il risarcimento del danno, consistente nelle mensilità dovute sino allo scadere del patto di prova (Cass. 03.12.2018 n. 31159).
4️⃣ Prorogabilità del patto di prova.
La prorogaabilità del “patto di prova” con la stipulazione di successivi contratti è ammessa solo se ci sia la necessità per il datore di lavoro di nuove verifiche, attinenti oltre che alle qualità professionali, anche al comportamento ed alla personalità del lavoratore (in relazione all’adempimento delle prestazioni) trattandosi di elementi suscettibili di modificarsi nel tempo per molteplici fattori attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute.
In tal caso, al fine di evitare che la pratica della proroga del “patto di prova” possa portare ad abusi, per la sua legittimità il datore di lavoro dovrà effettivamente dimostrare la reale esigenza di nuove verifiche e che queste ultime possano definirsi “rilevanti ai fini dell’adempimento delle prestazione” (Cassazione civile, Sezione Lavoro, sentenza n. 22809 del 12 settembre 2019).
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